A D V E N T U R E

 

 

Sailing Yacht
Grand Soleil 343



Italia – Croazia – Montenegro ­– Grecia – Turchia

 

Agosto – Ottobre 2008

Lat.     36° 51’ 04N

Long. 028°16’63E


Cari Amici,

Questo è il Diario di bordo di Adventure, che non vuole essere un’opera letteraria, ma un sintetico promemoria delle emozioni, oltre che dei luoghi e delle persone che ne hanno fatto parte. Ho cucito insieme gli appunti del diario, con l’intento di rendere più snella e piacevole la lettura, spero di esserci riuscito.

 

4 agosto 2008

Marina di Ravenna

Dopo tre giorni di lavoro ininterrotto per mettere in grado Adventure di navigare senza problemi, dopo tre anni di fermo, finalmente arrivo alla fine delle cose elencate nella lista ‘cose da fare prima della partenza ’, tralasciando la più lunga lista di quelle non urgenti, che possono essere fatte anche durante la crociera.

Arrivano Licia, Laila e Alberto, che si occupano della cambusa, e alle 18 circa lasciamo l’ormeggio del Pier12 e via dal distributore, giusto in tempo per fare il pieno di gasolio. Ci fermiamo a mangiare ormeggiati nella darsena della Finanza, e poi ormai fatto di stanchezza, decido di riposare qualche ora, prima di iniziare la traversata. In fin dei conti, penso, ci possiamo anche fermare e ripartire domani mattina presto perché, io non sono superstizioso, ma partire di martedì non porta bene.... quindi posso stare tranquillo perché il nostro ormeggio al cantiere lo abbiamo mollato il lunedì, e vado a dormire.

Mi sveglio alle tre, e alle 3,30 siamo in mare, poco vento, si va di motore. Alberto che mi ha sentito partire mi tiene compagnia in pozzetto. La serata non è di quelle bellissime, ma la luna è quasi piena e lo spettacolo del mare di notte ha un suo fascino speciale.

Rotta 088 verso Lussino, circa 100 miglia, dove faremo dogana per entrare in Croazia.

Tre ore di motore poi una bella brezza e su il genoa, poi su la randa, è quasi giorno e i delfini vengono a farci un saluto, si vedono appena nella penombra dell’alba. Un piccoletto si mette a giocare con la prua, si fa spingere dall’onda della barca, poi emerge per prendere aria, ed il suono del suo respiro lo fa sentire ancora più vicino.

Non so cosa ci sia in questi animali che li rendono così graditi a chi va per mare, ma il loro arrivo è sempre una festa.

Il vento cala e sale il Gennaker fin verso le 14, quando il vento se ne và e con lui le vele. Accendo il motore e.. apriti cielo!!  Suonano gli allarmi e vedo una fumata bianca salire dal tubo scappamento, mi getto sulla leva di spegnimento motore come un avvoltoio sulla sua preda. Dentro di me una vocina che dice.. secondo me si sono accorti che non siamo “veramente” partiti di lunedì.. Apro il vano motore e in pochi istanti ho la diagnosi, la girante della pompa dell’acqua è bruciata. La sostituisco e in meno di mezz’ora siamo di nuovo in navigazione. E bravo Tile, sempre con tutti i tuoi ricambi! Arriviamo a Lussino dopo 18 ore di navigazione e il porto è pieno. Ci ormeggiamo (gratis) di lato ad un barcone che ci invita ad accostare, che gentili, grazie a loro ci godiamo lo spettacolo dei fuochi artificiali (molto belli) in prima fila e sopravvento al fumo e ai lapilli che invece cadono sulle barche ormeggiate ai pontili del marina.  La mattina ci trasferiamo al pontile per spesa e rifornimenti d’acqua ed elettricità, sempre a gratis.


6 agosto.

Dopo un trasferimento tutto motore, pranzo in pozzetto con tanto di tavolo apparecchiato, sotto il tendalino al riparo del sole cocente, arriviamo a Brbinj (44°04’N  015°00’E), uno dei posti a noi caro. E’ una baia che si chiude su se stessa, sulla destra entrando c’è un ormeggio fatto da boe e cima a terra, con gli alberi che incorniciano la baia. Quest’anno il mare è più caldo del solito, ben 23 gradi e l’acqua è così limpida da poter vedere a molti metri di profondità il fondo.

Non ci sono boe libere, ma non ci arrendiamo e ci ancoriamo tra due barche con cima a terra, e scopriamo che in questo modo possiamo pernottare a gratis!

 

7 agosto.

Fotocopia della giornata precedente, niente vento, motore, tendalino, pranzo in pozzetto, vita dura per questi croceristi che, a parte me, sono tutti contenti.

Discendiamo l’isola lunga, fino a Katina, l’unico passaggio tra Dugi Otok e l’Incoronata, che ti permette di andare sul lato ad Ovest delle isole, normalmente più ventoso. Tutto motore fino a Zakan (44°43’49”N 015°25’95”E) dove in una minuscola isola c’è un bel ristorante, il più “in” delle Incoronate. Si mangia discretamente bene, sotto una bella tettoia che si affaccia sul mare, una bella apparecchiatura ed il menù stampato con il nome della barca, per ‘solo’ 50 Euro a testa... ma l’ormeggio è rigorosamente gratis!


8 agosto

Una data che va scritta così, da ricordare. Si naviga fuori delle isole verso sud, sempre a motore, San Volvo nostro protettore. Tentiamo di fare gasolio a Rogoznica, ma scopriamo che non c’è il distributore. Ci fermiamo a Veli Dvenik (43°27N  016°07’E, 200 miglia percorse) un’altra isola dove c’è un porto non ultimato e si ormeggia rigorosamente a gratis (cominciamo a farci l’abitudine) c’è anche un discreto ristorante (Atelier Tramontana) dove si mangia con menù fisso o carne, di solito agnello, o pesce, chiaramente di frigo, ma ben cotto sulla brace.

 

I proprietari tedeschi un po’ in là con l’età, abitano tutto l’anno sull’isola. Lui cucina e lei serve a tavola, inoltre lei dipinge e fa un quantità di marmellate, liquori aromatizzati, grappe etc. da perdere la testa. La sera è allietata dalla presenza di un cantante croato che nonostante la mancanza di due dita riesce a suonare la chitarra molto bene.


9 agosto

 

Passiamo da Trogir per fare gasolio e per una scelta errata facciamo più di un’ora di attesa al distributore, siamo tutti nervosi, e io solo un po’ incazzato. La giornata non butta bene. Passiamo a nord di Solta e ci dirigiamo verso San Klemente (rotta 135°), un’isoletta deliziosa davanti a Hvar.  Finalmente una bel vento al traverso di 15/20 nodi ci obbliga a dare la prima mano di terzaroli, andare a vela è tutta un’altra cosa.   Il mare è un po’ formato e la navigazione si fa più impegnativa e godereccia, qualche schizzo disturba i croceristi, ma non si può avere tutto!

Troviamo uno  degli ultimi posti in porto, all’ ACI Marina (43°09’87”N  016°23’78”E), fortunatamente, perché la situazione richiedeva un momento di decompressione.


 

Il porto è immerso nel verde in un piccolo golfo con pontili galleggianti e un’acqua così pulita che la barca sembra sospesa nell’aria.

La sera prendiamo il traghettino, che fatica non poco a fare il tratto di mare con l’onda al traverso, e andiamo a cena a Hvar, una bella cittadina veneta in mano croata, che non la meritano per niente. Pietre bianche e.. culo nero, dicono i veneziani. Il lastricato quando è bagnato è particolarmente scivoloso, ma oggi non corriamo questo rischio, tramonto da cartolina e temperatura gradevole.



Si mangia al ristorante Pirata di una franco-americana con una deliziosa figlia parigina come sottolinea lei. Si mangia bene e si spende il giusto (35€ cad).


10 agosto

Si lascia l’ormeggio di Palmizana con dispiacere, ma dobbiamo andare a sud, e io sono intransigente, bisogna andare. Il mare è ancora mosso dal giorno precedente, e il vento in aumento. Finalmente un giornata di vela come si deve. Verso le 14 il vento supera i 20 nodi ma siamo al gran lasco e Adventure da il meglio di se, tolgo la randa e lascio il genoa che tira come un mulo e ci fa volare a 7 nodi, 7 ½, ed in fine 8,05 velocità massima raggiunta. La ciurma è un poco sballottata, ma arriviamo a Korciula con una bella media e troviamo anche un posto in porto, non dopo aver fatto un po di casino. Serata fredda e piovosa si mangia discretamente in uno dei ristoranti suggeriti dal ‘Giorgiolano’ (opera eccelsa di Giorgio Balich), Konoba Marinero, ma il vino suggerito dall’oste è da dimenticare.


11 agosto

Prima di partire vado al mercato per comprare della frutta e torno con una magnifica piantina di basilico, per la gioia di Licia.

Ci trasferiamo a motore a Miljet nella baia di Polace (43°47’32”N  017°22’87”E), completamente chiusa al mare e piena di ormeggi di ristoranti che ti danno sì gratis acqua e luce, ma poi te li rifanno ripagare nel conto della cena, decidiamo di stare alla fonda ormeggiati con cima a terra, l’acqua è invitante e ogni scusa è buona per farsi un bagno, dietro di noi una bella pineta, davanti tutto il golfo pieno di barche.

Vanno tutti a terra a fare una escursione, mentre io lavo tutto lo scafo di Adventure che ne aveva veramente bisogno, con tutte quelle orribili strisciate nere delle piogge acide di Ravenna!



Da lontano adesso sembra tutta bianca e pulita. Tornano gli escursionisti stanchi e vogliosi di una doccia, decidiamo di cenare a bordo,è una serata magica, niente vento, il canto delle cicale (ci vuol coraggio a chiamarlo canto), le stelle, mare lagunare, e a chi non piacerebbe una serata così?.


12 agosto

Di mattina l’acqua è un po’ freddina, ma come si fa a non fare un bagno nudi appena alzati? impossibile. Ripartiamo a motore per poche  miglia, 12, per andare nella baia di Okukje (ma che ‘azzo di nomi!) dove troviamo i nostri amici di Lampalo, un ristorante che ha un buon ormeggio riparato anche alla Bora (42°43’64N 017°40’18E entrando sulla destra, in fondo, l’ultimo molo), che ci accoglie offrendoci uno strudel caldo veramente buono.

 

Si cena sulla terrazza di casa, adibita a ristorante, una quantità esagerata di cose, fra tutte, la Pecha una cottura lenta sotto una campana in ghisa, con brace ardente a ricoprirla. Il capretto è delizioso, il polpo eccezionale, si strugge in bocca, il sarago alla griglia perfetto, due bottiglie di vino e un sacchetto di avanzi che ci mangeremo il giorno dopo. Prezzo 750 Kune circa 100 Euro. Il miglior “ristorante” della Croazia.  


13 agosto

Tutti vorrebbero restare a Mljet un giorno di più, ma il Capitano incombe e non  molla “si va a Sud!”

Abbiamo un programma intenso di nuovi posti da vedere, ed il prossimo porto, Dubrovnik, merita uno stop di due giorni. Anche oggi il vento scarseggia, vela e motore per fare le 23 miglia che ci separano dalla bella Aci marina (42°40’27N 018°07’32E) in fondo al golfo a nord di Dubrovnik.

Arriviamo al porto e per la prima volta un addetto, in modo molto sgarbato, ci assegna un posto che non ci piace (speriamo che non sia il segno di un cambiamento, purtroppo ben noto a noi italiani). Licia, con la sua determinazione dopo un po’ riesce a convincerne un’altro a cambiarci di posto, per la sua gioia... e meno della mia che devo rifare l’ormeggio.

Prendiamo il bus per andare a Dubrovnik, stupenda città che è tutto meno che croata, sembra di essere in veneto, anche se Ragusa è stata per lungo tempo indipendente da Venezia, che per centinaia di anni ha tentato in tutti i modi di soggiacerla, riuscendo a farlo solo dal 1200 al 1350 circa. Ragusa fu talmente potente che intorno al 1500 era la terza potenza navale del mondo occidentale. Fu Napoleone all’inizio del 1800 a terminare la vita di questa antica repubblica, così come di tante altre.

La città è talmente piena di turisti che soffre dello stesso problema di sovraffollamento come Venezia o Firenze stessa. Peccato perché diventa tutto più difficile in particolare per me che sono intollerante alla folla.

Restiamo al Marina per due giorni e oltre che visitare la città i croceristi vanno al mercato tornando con sacchi pieni di cibi, che stiviamo un po’ ovunque, con non poche difficoltà, e approfittiamo della presenza di una lavanderia per fare un bel bucato. Nel pomeriggio siamo stanchi e passiamo un po’ di tempo in piscina, tento per cambiare.



15 agosto

Come di norma sono il primo ad alzarmi, dormo poco, e per questo sono spesso stanco, ma ancora non riesco a togliermi di dosso il peso e lo stress degli ultimi anni. Alle 7 sono già in navigazione mentre i croceristi dormono. Si svegliano quando fuori dal golfo troviamo onda e vento contrario. Dobbiamo fare 50 miglia per arrivare in Montenegro, non sarà una giornata tranquilla. Ci fermiamo a Cavtat per fare dogana di uscita dalla Croazia, a me è sembrato un posto carino, ma sono stato l’unico a dirlo. Ripartiamo al volo e cominciamo la discesa che poi è stata una risalita. Vento contro, mare contro. Alberto che è sempre pronto a far battute, anche se a volte dobbiamo farcele spiegare, se ne esce con una delle sue, e rivolgendosi alla Laila, che per coprirsi i capelli si era messa una fascia a mo’ di turbante, esclama: “tu mi sembri una papessa”  ...sbang! un calcione dato da Laila con gran forza allo stinco di Alberto lo zittisce e poi guardandolo a mala pena gli dice “zitto, oggi non è giornata”, causando un’esplosione di risate da parte di quasi tutti noi.

In effetti non lo è stata, vento poco e contro, mare contro, tutto motore per 30 miglia, poco confort e tanti schizzi per tutti. Arriviamo all’ingresso del golfo che porta alle bocche di Cattaro quando finalmente possiamo mettere la poppa al vento ed entrare in Montenegro, il mare si spiana, la barca si asciuga, torna il sorriso sulla bocca di tutti.

Ci fermiamo a fare dogana appena all’ingresso del golfo (42°26’98N 018°34’26E). (Ho poi saputo che è consentito fare dogana direttamente a Cattaro).

I doganieri sono cortesi e sorridenti; faccio il permesso di navigazione presso la capitaneria, in un locale malandato con l’intonaco che cade, ed i giornali distesi sopra le sedie per ripararle dai calcinacci, ma c’è il computer, la stampante, tutto funziona, e in poco ottengo il permesso e la bandiera del Montenegro gentilmente offerta. Sono quasi commosso da questa attenzione, in effetti la bandiera l’avevo cercata in tutti i porti ma non ero riuscito a trovarla. Lo considero un segno benaugurale.

Proseguiamo verso le bocche di Cattaro a motore ed entriamo nel primo mare interno, lo scenario si modifica velocemente e il verde comincia a dominare sul blu del mare. Passiamo le bocche con facilità, senza corrente e senza vento, ed entriamo nel secondo mare interno. Ci sono due minuscole isolette, una con una chiesetta l’altra con un cimitero ed una cappella, sono veramente suggestive, intorno le montagne sono sempre più alte, ormai oltre i mille metri, dando al luogo un sapore di lag alpino, e il mare esterno, che abbiamo appena lasciato appare lontano mille miglia.

Arriviamo a Cattaro (42°25’50N 018°46’00E), una piccola città fortificata naturalmente fatta dai Veneziani, e chi altro?! Le mura salgono verticalmente dal mare fino a circa 3/400 metri di altezza creando un anello che probabilmente rendeva impedibile la città.

Ormeggiamo in banchina, luce ed acqua sono disponibili, pagando 5 Euro. La sera andiamo ad un ristorante in una delle piazze della città vecchia ma non mi sembra che il menù fosse eccelso, ma buono il rapporto prezzo/qualità.

Decidiamo di restare anche il giorno dopo, il posto ci piace, e la mattina Licia Laila e Alberto decidono di fare la risalita delle mura della città vecchia, tornando dopo alcune ore stanchi morti. Io sono stanco e nervoso e Licia non contribuisce alla serenità e come spesso succede cala il muro del silenzio tra noi.

Cattaro ci ha veramente impressionato non solo per la bellezza del posto ma anche per la bellezza delle sue donne, specialmente le giovani, tante, belle, e molto europee nel vestirsi e nei loro modi di fare. E’ proprio vero che quando non conosci i posti o le genti, ti crei dei pregiudizi.


17 agosto

Mi sveglio ai primi bagliori e alle 6 sono già in moto, l’alba in quello scenario alpino è commuovente da quanto è bella, le montagne controluce sono scure, ma il cielo ha sfumature che vanno dal rosa al blu profondo, mentre le montagne illuminate dalla luce del sole hanno tutti i colori sgargianti dal bianco delle rocce al verde degli alberi.

Dormono tutti, peccato, ma come si dice chi dorme non piglia pesci.

Arriviamo a Budva (42°16’80N 018°50’35E) verso mezzogiorno e con gran difficoltà riusciamo ad ottenere un posto in porto, solo con la promessa di andare via se fosse tornato il suo “legittimo” proprietario. Fortunatamente non è tornato e siamo restati due giorni. La città vecchia (veneziana) è molto piccola, con le strade molto strette e tortuose, è strapiena di gente, tanti locali e ristoranti. Mangiamo sotto un pergolato e un cameriere molto gentile ci fa ridere più di una volta. Budva è la St.Tropez del Montenegro, dove i ricchi russi vanno al mare. Il porto è strapieno e le barche sono megayacht anche a tre ponti. In banchina auto di lusso e donne di lusso, un bel vedere specie per la scarsità di stoffa addosso! bellissime donne, ma che abbiamo soprannominato ... Budvane! 

La mattina dopo è dedicata alla cambusa, facciamo visita ad un supermercato poco lontano dal porto, e facciamo rifornimenti per il salto in Grecia. Pomeriggio di riposo sulla spiaggia e serata in città.

Budva dipende dalla capitaneria di porto di Bar, e spesso le barche avevano i due nomi sulle loro poppe, ho fatto tutti morbidi con questa storia del Budvabar! :-))

 

19 agosto

Partiamo abbastanza presto, verso le dieci, e ci trasferiamo a motore a Bar (42°06’ N 019°05’E) dove facciamo dogana e lasciamo il Montenegro; abbiamo circa 200 miglia da fare, saltando l’Albania che non mi attira proprio punto, per arrivare a Corfù. La navigazione procede bene, con un discreto vento portante che ci fa correre oltre i 7 nodi fino ad una punta massima di 8, ma una fastidiosa onda che arriva da lontano, probabilmente dovuta al vento forte del giorno precedente ci fa patire. Verso sera quando comincio i preparativi per la cena, si schianta la staffa del timone automatico.

Come sempre, non vicino ad un porto poco prima dell’arrivo, ma all’inizio di una notte in mare, maledizione! Fortunatamente c’è Licia che si sacrifica e resta al timone mentre io inizio una ricerca di pezzi che mi aiutino a fare una staffa di fortuna. Smonto la vecchia staffa dal timone e sego via il pezzo inferiore, poi lo accoppio ad una staffa di allumino per l’antenna del VHF e faccio tre fori per bloccarle insieme, il tutto con strumenti a mano, trapano e seghetto. Dopo quattro ore, in cui ho lavorato fino all’ultima goccia di sudore, finalmente la nuova staffa viene installata sul timone e il pilota automatico torna al controllo della rotta. Licia è stremata come me, e Laila ed Alberto soffrono in silenzio il disagio creato dal poco vento e dal mare al traverso che ci fa ballare di brutto mettendo a dura prova i nostri stomaci.

 

La notte passa veloce facendo i turni, e riesco anche a dormire per due ore, la mattina ci porta del buon vento, la barca si stabilizza e il mare si arrotonda, la navigazione si fa piacevole, e finalmente possiamo fare una ricca colazione. Verso mezzogiorno il vento cala e sale il gennaker, e, secondo voi quando un pesce decide di abboccare alla lenza che ci portiamo alla traina da 500 miglia? ma nel momento peggiore naturalmente: maledizione, proprio ora?! il tempo necessario a tirar giù tutto e a fermare la barca è sufficiente per dare al tono la possibilità di svignarsela e lasciare  sul Rapala, che con grande tristezza mi rigiro tra le mani , due belle dentate.

Arriviamo a Corfù, siamo in Grecia, si cambia bandiera di cortesia e dopo un tentativo di trovar posto nel piccolo porto vicino alla città, andiamo al Marina Guvia (39°39’N 019°51’E - 600 miglia percorse) dove arriviamo a buoi inoltrato.

Restiamo a Corfù per tre giorni, visitiamo la città, anche lei con molte vestigia veneziane, inclusa una bella fortezza, si sente la vicinanza dell’Italia e la contaminazione sia nell’architettura che nei costumi. Incontriamo la Patrizia e Aronne, al loro ultimo giorno di ferie,  passano con noi una mezza giornata, andiamo a fare il bagno poco distante, dove, udite udite, Aronne si fa una nuotata, anche se con l’aiuto del giubbotto di salvataggio, poi ci prepariamo un bel piatto di spaghetti che mangiamo in pozzetto con il tavolo ben apparecchiato all’ombra del tendalino il più bel ristorante del mondo!   E’ stato un vero piacere incontrarli.

 

22 agosto

Laila e Alberto ci hanno salutato ieri sera, sono stati dei buoni compagni di viaggio, hanno resistito a tutti i disagi che la barca ed il suo capitano gli hanno inflitto, ma hanno anche goduto di posti meravigliosi e a volte di una buona compagnia che gli rimarrà a lungo nella memoria.

 

Licia ed io lasciamo Corfù e con una navigazione tutta motore andiamo a Paxos,  nella baia a nord, Lakka (39°14’30N 020°08’00E), una bella baia chiusa con acqua pulita, ma abbastanza affollata.

Passiamo una notte tranquilla all’ancora senza scendere a terra, come piace a me. Il giorno dopo ci trasferiamo nel porto di Gaios (39°11’88N 020°11’15E), un posto che mi era piaciuto nel 2002, e che è piaciuto tanto anche a Licia ora. Bisogna ricordarsi che se si vuole trovare un posto in banchina bisogna arrivare tra le 16 e le 17 quando tutti i barconi di turisti se ne vanno via.

Buono il ristorante in fondo al porto, con una bella terrazza che guarda il mare.

 

25 agosto

Torniamo a Corfù, tutto motore, è stata una estate particolarmente calda, con poco vento, e San Volvo ci ha veramente protetto. Licia comincia a fare musicchio, non gli va proprio giù di dover andare via, ora che cominciava a trovare una buona sintonia con la barca e il mare, e forse anche con me. Andiamo al porto dello Yachting Club NOAK, a sud della città (39°37’23N 019°65’60E - 700 miglia percorse). L’ormeggio si rivela molto ballerino, con una forte risacca per tutta la notte, ma la location vicino alla città è stupenda, andiamo a piedi in centro e mangiamo in un ristorante, purtroppo non degno di nota.

La mattina dopo,  26 agosto, di buon ora accompagno Licia all’aeroporto, torna a Firenze con un gran magone, non ne aveva proprio voglia di partire. Ma sai com’è questo è il prezzo che si paga quando si è Business Woman!

Grazie all’aiuto dello YC vado da un fabbro che in un paio d’ore realizza una nuova staffa in acciaio inox per il pilota automatico. Sostituisco il vecchio accrocco con questo splendore, adesso sono più tranquillo, quando si è soli l’autopilota è un accessorio indispensabile. Ormai è tardi e decido di passare la notte al Marina Guvia, così domani faccio l’uscita alla Capitaneria che è all’interno del Marina, e stanotte posso dormire in santa pace.

 

27 agosto

Parto poco prima di mezzogiorno, sono solo, e mi sembra una cosa strana, che mi sia abituato alla presenza di Licia a bordo? Torno a Paxos, quasi tutto  motore o vela e motore, provo a mettere la lenza per pescare, ma senza successo, accidenti a quel pescione che aveva abboccato, se solo lo avesse fatto 10 minuti prima...

Arrivo all’ora giusta per trovare un buon posto in porto. Cena e a nanna.

Il giorno dopo sento che sono veramente stanco, non ho voglia di mettermi in mare, è stato un mese intenso e i momenti di relax sono stati pochi, resto fermo in porto, ma talmente fermo che non faccio assolutamente niente in tutto il giorno, mi trascino dal pozzetto alla cabina e viceversa e la giornata passa in un attimo, a sera arriva accanto a me un bel Comet 50 Cinciallegra (Sasnautica.it) e faccio subito amicizia, sono due velisti, di quelli veraci, vanno ad Atene a prendere le mogli per una settimana di ferie. Mi offrono un ottimo aperitivo e passiamo un paio d’ore a chiacchiera, è facile fare amicizia quando si hanno le stesse passioni.

 

29 agosto

Oggi il meteo prevede un passaggio di un leggero fronte, è nuvoloso e c’è vento, finalmente! Esco e su tutte le vele, il motore si spenge e il silenzio si diffonde, i soli rumori, pardon musica!, sono il vento la barca il mare, questo si che è godere. Vado a sud, verso Levkas, il mare è appena mosso, il vento tende ad aumentare, prendo la prima mano di terzaroli.

Che corsa fantastica, un gran lasco a tutto genoa, vento tra i 18 e i 20 nodi e una velocità stabilmente oltre i 7 nodi, con una punta a 8, sono estasiato, ma anche un po’ teso, devo ritrovare i miei equilibri di navigatore solitario, e all’inizio non è facile.

All’ingresso del canale in attesa che si apra il ponte, principale accesso al paese, incontro nuovamente Cinciallegra, anche loro vanno verso sud, ci salutiamo di nuovo, loro proseguono e io mi fermo alla Marina di Levkas (38°50’06N 020°42’70E).

Il paese è abbastanza carino, tipicamente marino, è un posto per la villeggiatura, con tanti ristoranti e il lungomare. La marina è moderna, ma manca di fascino, incontro una coppia di svizzeri, con una vecchia barca a vela, anche loro stanno andando verso sud. Mangio al ristorante, ho voglia di pesce, ma non sono felice della scelta, peccato.

 

30 agosto

Me la prendo comoda, compro un nuovo comando per il salpa-ancore nel negozio del porto e lascio il Marina dopo mezzogiorno;  appena fuori imbocco il canale che separa l’isola dalla terra ferma quando un motoscafo con un gran gesticolare mi fa segno di tenermi sulla destra, sta atterrando l’idrovolante che viene da Corfù, avete mai sentito parlare di un incidente frontale tra aereo e barca? bene, qua è possibile!

Discendo l’isola con un vento leggero, non c’è mare, e vado lentamente, molto lentamente.. troppo lentamente. Ancora motore. Uscito in mare aperto trovo un vento quasi di prua con onda di un metro, la barca sbatte di prua e lascio randa e motore, voglio andare a Cefalonia, e anche se la mia teoria è quella di seguire il vento, la realtà è che quando mi metto in testa una cosa... mi faccio due ore di andatura molto scomoda e molto bagnata... predico bene e razzolo male!

Sono ripagato all’arrivo da Fiscardo, (38°27’N 20°34’E - 800 miglia percorse) un golfo con un paesino delizioso,  per metà banchinato con i ristoranti all’aperto e la poppa a pochi metri dai tavoli.

Ormeggio di poppa, in uno degli ultimi posti, e con il nuovo comando dell’ancora rimandato in pozzetto mi permetto di fare un figurone. Cena a due metri dalla poppa, mi faccio perfino una foto, ma purtroppo il pesce è veramente da dimenticare.

Notte da incubo, c’è un matrimonio in paese, l’unica piazza addobbata a festa con tutti i commensali a tavola, carino ho pensato io, senza considerare la Band pronta a suonare... a tutto volume fino alle 4 di mattina.. ma vaffan.. ma proprio oggi si dovevano sposare!

 

31 agosto

Lascio Fiscardo, poco dopo mezzogiorno, con un po’ di amaro in bocca, un posto veramente delizioso, sciupato da una notte semi-insonne. Sarà per un’altra volta. Mi dirigo verso sud, in un primo momento sembrava che il tempo volesse regalarmi una bella in poppata, ma il vento cala fino a scomparire, ari-motore. Passo il golfo di Sami, la città principale dell’isola, non ho voglia di rischiare un’altra notte insonne. Scendo tutta l’isola e sono nel porticciolo di Poros, (38°08’N 020°46’E).

Il portolano indicava lavori in corso, ma una volta tanto i lavori sono terminati e c’è una nuova diga foranea che chiude il piccolo golfo. Sulla sinistra entrando il nuovo attracco per i traghetti, e a destra una banchina dove con ancora si ormeggia di poppa, con acqua a disposizione ma senza elettricità. Conosco una coppia di inglesi, over 60, che sono fermi da alcuni giorni per un problema al motore, sono simpatici, e mi invitano a bere nella loro barca. Ha un armamento molto originale, con due alberi senza sartie e vele tipo giunca, mi dicono una rarità nel  mediterraneo, ma con dei vantaggi incredibili nella gestione e nella conduzione con equipaggio ridotto.

Come spesso mi accade mangio a bordo e non scendo a terra, il paese non sembra attraente, quindi perché sprecare energie, e poi... sdraiato sul divano dopo cena mi addormento di schianto.

 

1 settembre

Passo alla capitaneria a lasciare il mio obolo e via ancora verso sud direzione Zacinto, distante 25 miglia per rotta 166°, il porto della città omonima si trova a sud est dell’isola (37°46’90N 020°54’50E). Arrivo nel primo pomeriggio e trovo una lunga banchina semivuota, faccio la mia solita manovra di ormeggio usando il comando del salpa-ancore portato in pozzetto, salto a terra con le cime in mano e voilà il gioco è fatto. Non appena ho finito arriva un solerte addetto che si presenta quale responsabile del porto e mi chiede il classico obolo, ok, va bene, ma almeno una mano l’avrebbe potuta anche dare!

La città è grande e un tempo doveva essere stata un centro molto ricco e importante. Molti palazzi hanno linee classiche e molto “italiane” ci sono molti ristoranti con nomi italiani quasi a ricordare il legame che l’Italia ha con questa isola, patria del poeta Foscolo. Faccio una bella girata in bici, scelgo il ristorante dove andare a mangiare, compro Il corriere della sera, e torno in barca. Come è andata a finire? Spaghetti riscaldati in barca e addormentato di schianto sul divano! E un c’è più l’età per fare tutto !!

 

2 settembre

Lascio il porto di Zacinto e faccio il giro dell’isola in senso antiorario, sono quasi 20 miglia per arrivare nel posto che spesso ho visto in immagini pubblicitarie della Grecia ionica: Shipwreck Bay.(37°49’08”N 020°37’782E) Una spiaggia bianchissima incastonata nella roccia che sale in verticale per quasi 60 metri, e al centro il relitto di un piccolo mercantile in buona parte ricoperto da sabbia.

Il colore del mare è una tavolozza di sfumature dal celeste al turchese al blu. L’acqua è trasparente e l’ombra della barca si riflette sul fondo dando l’impressione di essere sospesi nell’aria. Il posto è affollato, molte barche all’ancora e tanti barconi e barchini porta turisti, e la spiaggia è ben gremita. Scendo a fare le foto di rito e un filmino. Verso sera lentamente uno a uno vanno tutti via e resto il solo padrone della baia. Mi faccio una bella nuotata nudo come mamma mi ha fatto, e una passeggiata, per controllare la cima che avevo portato a terra, ma poi decido di allontanarmi dalla riva liberare la cima a terra e calare due ancore, è girato il vento e nel golfo entra un po’ di onda. Purtroppo la barca si intraversa all’onda e comincia a dondolare come un pendolo, dormo qualche ora e resisto fin verso le tre e mezzo quando salpo le ancore e decido di partire.

Il cielo è senza luna, ma talmente pieno di stelle che riesco a intravedere i profili dell’isola e, seguendo una rotta che prudentemente avevo già impostato la sera prima, esco dal golfo senza problemi, ma con la solita tensione che si ha quando si naviga al buio senza punti di riferimento certi, come fari o fanali.

 

 

3 settembre

Lascio Zacinto alle 4 di mattina con direzione Lepanto, quasi 70 miglia, rotta 063, fatte tutte a motore, ne approfitto per farmi qualche pisolo durante la navigazione e i soliti lavoretti di manutenzione e migliorie che amo fare, riducendo la famosa lista delle “cose da fare”. All’imbocco del golfo di Corinto hanno costruito un gran bel ponte che con cinque campate unisce la terraferma al Peloponneso, che con i suoi 2883 metri è il ponte strallato più lungo del mondo. L’ultima volta che sono passato di qua non c’era niente (2002 ndr).

Lo scenografico e fortificato porto di Lepanto (38°23’N  21°49E’ 900 miglia percorse) è famoso per la storica battaglia navale tra le forze greco cristiane e quelle turche, vinta dalle prime nonostante fossero in  numero inferiore. Il porto è minuscolo meno di dieci barche possono trovare posto, e io riesco a ricavarne uno ancorando di prua. Il posto mi piace molto, forse un po’ rumoroso la sera quando i bar del porto si animano di giovani e di musica, ma si sta bene e decido di restare un secondo giorno.

Passo la giornata successiva a sistemare la barca, e a cucinare. Facendo cambusa in paese ho comprato dei pesci e delle cicale e preparo un sugo per spaghetti strepitoso, cuocio mezzo chilo di spaghetti, e scopro che sono in grado di mangiarli tutti in sole due volte!!

Lavo la barca e faccio il pieno d’acqua, il tutto a gratis, usando un rubinetto disponibile vicino al chiosco dei tabacchi. Solo internet mi costa 2,50 euro, il prezzo di una bevuta al bar a 20 metri dalla barca. Ma chi è che dice che le vacanze in barca sono roba per ricchi!?

 

5 settembre

Lascio Lepanto con una leggera brezza di poppa alla strepitosa velocità di 3.0 nodi, ma chi ha premura? io no! arrivo a Thrizonia (38°21’88N 022°04’61E) un’isola che ha lasciato in me un bel ricordo nel 2002. Un posto che rinfranca il corpo e lo spirito. Un’isola lontano dalle mondanità, con un porto mai finito, ma agibile, dove si incontra una gran quantità di giramondo. Purtroppo il Lizzie’s Yacht Club è chiuso,

era un posto particolare, dove potevi fare il bucato o trovare la posta, oltre che mangiare e bere. La figlia dei proprietari, Alison, è morta tragicamente lo scorso anno e il posto è ora in vendita. Che tristezza.

L’isola ha un po’ perso quel suo look trasandato e i ristoranti non sono solo tavoli sul porto,  ma hanno anche delle belle tettoie in legno, e anche i giornali si comprano non più sotto un ombrellone ma in una specie di negozio di ortolano, ma ciò nonostante il posto ha un certo non so che; mi piace.

Mi ormeggio all’inglese all’interno del molo e decido di restare. E ci resterò tre giorni. In “paese” un ristorante offre gratuitamente il collegamento internet al tavolo, mentre devi pagare 2 € al giorno se vuoi collegarti dalla barca. Decido di svenarmi e faccio l’abbonamento di 3 giorni a 5 €!

Arriva anche la coppia di svizzeri che incontro per la terza volta, e per la terza volta li aiuto all’ormeggio, di cui peraltro non si erano nemmeno accorti. Mi ringraziano si, ma non mi offrono nemmeno un bicchiere di vino, i taccagni.

Passo le giornate senza fare quasi niente, girello, una passeggiata tra gli ulivi, è molto caldo e dopo pranzo finisco per fare tante pennichelle. Sto smaltendo la stanchezza di tre anni e una notte addirittura riesco a dormire ben 8 ore, con un solo pi-stop e il giro della barca per verificare che tutto sia in ordine, un abitudine che non riesco a perdere nemmeno in un porto tranquillo.

 

8 settembre

Lascio la mia isoletta preferita e a motore continuo la mia rotta verso Est. Il prossimo stop a solo 19 miglia, Galaxidhion (38°22’66N 022°23’34E). Un posto ideale per le escursioni verso Delphi, un sito archeologico che mi dicono valga la pena visitare. Ma io non ne ho voglia, mi fa troppa fatica, e poi voglio stare in mare il più possibile, e l’idea di stare un giorno intero a terra non mi alletta. Il posto è tranquillo, il paese a destra e una bella pineta a sinistra del fiordo in cui si entra. C’è posto per l’ormeggio con ancora e cime in banchina. C’è anche disponibilità di acqua ed elettricità. Ne avevo bisogno. Faccio anche il pieno di gasolio, è passato un camioncino e stranamente il greco parla un buon inglese ed è pure simpatico. Nota dolente il pessimo ristorante sul porto. E pensare che avevo deciso di mangiare fuori tanto per cambiare.... in peggio però!

 

9 settembre

Lascio l’ormeggio intorno alle 9,30 e mi dirigo verso Corinto. Ieri sera Licia mi ha detto che viene a trovarmi e il 12 devo essere all’aeroporto di Atene. Circa 120 miglia mi separano da Lavrio dove ho previsto di lasciare la barca ed ho tre giorni per farle, ottimo questo mi dà un bello stimolo. Dopo una navigazione senza emozioni, poco vento e tanto San Volvo, arrivo all’imboccatura del canale, ma devo ormeggiarmi fuori in attesa che cambi il senso di marcia. Ne approfitto per farmi una bella nuotata, non capita spesso, e siamo ormai a fine stagione.

Il passaggio del Canale di Corinto è sempre un gran spettacolo, questa volta di giorno, senza problemi di corrente, posso godermelo in santa pace, tante foto e filmino. Hanno costruito un paio di ponti in più ma per il resto è come era, fatto nel 1893 dopo 12 anni di scavi, un taglio verticale nella terra, e tu piccolo piccolo giù nel suo ventre. Il cielo si scurisce e i colori del tramonto rendono la cosa anche un po’ romantica, io e lei, soli. Poco romantico il conto di 120 Euro per attraversarlo pagato all’arrivo. :-(

Decido di continuare la navigazione, nonostante la notte e le tante isole senza fari o fanali. Imposto molti waypoints sul Gps e controllo costantemente la rotta con i pochi rilevamenti disponibili. Giro intorno al promontorio di Spiri e mi ormeggio alla ruota, dopo 14 ore di navigazione, nella baia di Korfos (37°45’ 80N 023°07’73E  1000 miglia fatte). E’ una gran bella baia, protetta da tutti i venti, ci sono molte barche all’ancora, e la mattina dopo, poco dopo l’alba, dalla barca accanto alla mia, un Ketch inglese, esce una signora negli anta plus, seguita a poca distanza da altre due ragazze sui 20/30 anni, carine penso io. Dopo poco sento voci di donne e risate, mi affaccio e le vedo fare il bagno, poi la signora esce, nuda, e velocemente si copre (meno male penso io), quasi quasi aspetto che escano anche le altre, non si sa mai... detto fatto, una alla volta, nude come mamma le ha fatte, escono e con grande tranquillità si asciugano sul ponte, incuranti della mia presenza. Insomma almeno gli occhi me li sono lustrati, avevano du’ cocomeri..!

 

10 settembre

Decido di visitare un’altra isola, Aegina  (37°44’63N  023°25’ 54E), ho tempo per farlo, e le 15 miglia che mi separano volano via con un bel venticello al traverso; ci siamo subito accorti, Adventure ed io, che siamo nell’Egeo. Anche se lontani dalle zone dove soffia il Meltemi, il vento è comunque sempre presente, e il motore lo usiamo solo per fare l’ormeggio. Arrivo presto e decido di ormeggiarmi vicino all’ingresso, a destra entrando, lontano dai rumori dalle auto della strada. Ripeto l’ormeggio, solo 20 metri di catena non mi soddisfano; ormai da quando ho il nuovo comando per il salpa ancore ripetuto in pozzetto ancorare da soli è una scherzo da ragazzi. Il paese di Aegina è il classico paese che si sviluppa intorno al porto, con i ristoranti lungo la banchina e le stradine che si inoltrano verso l’interno a mo’ di ragnatela. Ho deciso di seguire il consiglio del mio amico Alvaro, e vado alla ricerca di un negozio che venda schede telefoniche per “farmi” un numero greco, ma non lo trovo; i negozi sono quasi tutti chiusi per uno sciopero locale. Me lo dice una elegante signora, alla cassa di una bella libreria, che insieme alla farmacia era l’unico negozio aperto, e poi visto il mio disappunto mi chiede cosa stessi cercando; glielo spiego, e lei, con grande disinvoltura tira fuori da un cassetto un pacco di schede di tutte le compagnie telefoniche e sorridendomi mi dice: “di quale compagnia lo vuole?” E così con la modica spesa di 25 Euro, senza formalità, e senza nemmeno il bisogno di far vedere un mio documento, divento possessore del numero 030 693 3190212, niente di più facile vero?

 

11 settembre

Mi sveglio presto, e dopo i soliti preparativi parto che è da poco spuntata l’alba, non c’è molto vento, anche perché sono ridossato dall’isola; procedo a motore e come d’abitudine metto la lenza per la traina, e, udite udite, pesco nel giro di venti minuti tre bei tonnetti (palamiti) da porzione e con grande soddisfazione perché è la prima volta che riesco a pescare qualcosa in Egeo, nonostante le centinaia di miglia fatte con la lenza a traina. Dopo aver pulito i pesci e risistemato tutto lo sporco fatto, mi dedico alla navigazione alzo randa e tutto genoa, perché ormai sono fuori dalla copertura dell’isola e il vento comincia a spingere la barca ad una bella andatura: il genoa è bello gonfio, l’andatura di bolina molto larga, fa sbandare la barca ma non troppo e la velocità comincia a salire spesso oltre i 7 nodi, che bello, penso, finalmente il Meltemi un vento su cui si può sempre affidamento. Ho troppa tela a riva e decido di dare la prima mano di terzaroli, non si sa mai, da soli la prudenza è di rigore, ma lascio tutto genoa, voglio aspettare ancora un po’ prima di ridurlo, è troppo bello andare così.....BANG! sento un forte rumore e istintivamente guardo verso l’alto da dove è provenuto: la penna del genoa è completamente mollata e la drizza in bando, accidenti, speriamo che non si sia strappata la vela. Mollo la scotta e cerco di recuperare la vela, ma il vento la gonfia e poco a poco la penna si stacca dall’inferitura e comincia a scendere portandosi con se tutta la vela che, gonfiata dal vento, finisce per andare tutta in acqua. Provo a tirarlo su, ma poi mi rendo conto che è impossibile perché si crea una sacca piena d'acqua e diventa troppo pesante; allora faccio portare la randa molto sventata quel minimo per muoversi e con l'autopilota mantengo il vento al traverso, a questo punto libero la bugna di mura e butto tutto in mare recuperandolo dal pozzetto tramite la scotta. Il genoa è risultato molto meno pesante e gestibile, e in poco tempo tutto era a bordo (si fa per dire, una fatica bestiale).

Controllo e ricontrollo tutto, ma apparentemente la vela è a posto, manca lo schiavetto che la teneva attaccata alla drizza, che naturalmente è restata in testa d’albero. Decido di tornare indietro verso l’isola che è ancora a poche miglia, e mi ancoro in un piccolo golfo che a malapena mi protegge dalle raffiche più forti di un Meltemi che soffia sempre di più, tolgo la randa, e inferisco sull’albero la mia preziosa scaletta (www.mastmate.com) che da 25 anni mi accompagna, e che mi permette di salire in testa d’albero da solo. Prendo con me alcuni attrezzi e una cima per poter recuperare la parte mobile del rullafiocco restata attaccata alla drizza, e comincio a salire, e più salgo più il peso del mio corpo, sotto l’effetto del vento, fanno dondolare la barca, si lo so, sono pochi gradi d’inclinazione, ma quando sei a 13 metri tutto si amplifica, anche le sensazioni che si provano, si sente l’adrenalina scorrere dentro le vene quando vedi sotto di te l’acqua invece che la barca, insomma roba da luna-park! Dopo aver recuperato la drizza inizio il paziente e faticoso lavoro di drizzare il genoa, un lavoro che con questo vento sarebbe difficile fare anche in due, ma da soli è fatica pura. Dopo due ore dall’incidente sono nuovamente in rotta (104° 21nm), con randa con una mano e mezzo genoa, e un sorrisetto soddisfatto stampato in volto come di chi sa di aver fatto un bel lavoro e se ne vanta.

La navigazione prosegue senza intoppi con un vento che tende a stringere,  tanto più mi avvicino a Capo Sunion, dove arrivo di bolina cazzato a ferro con 25 nodi di vento sul naso. Scapolato il capo risalgo le ultime 5 miglia a motore e dopo essere rimbalzato dalla Olympic Marina, che è completa, mi dirigo verso il porto di Lavrio, dove con un po’ di fortuna e tanta gentilezza da parte di una compagnia di charter vengo ospitato a gratis alla loro banchina; meno male perché domani mattina devo andare a prendere Licia che viene a trovarmi per un lungo week-end.

Una nota: la compagnia di charter, gestita da svedesi, mi è sembrata molto efficiente e professionale, chi avesse bisogno di una barca nel cuore della Grecia può fare affidamento su: www.navigare-yachting.com

Come sempre faccio una passeggiata lungo il molo dove incontro nuovamente gli amici del Cinciallegra, questa volta insieme alle rispettive mogli, sono invitato ad un aperitivo, che diventa cena, e passo una piacevolissima serata insieme a loro; lasceranno la barca a Lavrio per l’inverno, chissà se le nostre rotte si intersecheranno nuovamente, mi farebbe veramente piacere poterli rincontrare.

12 settembre

Recuperata Licia ad Atene in meno di un’ora torniamo a bordo, anche grazie alla nuova superstrada che unisce il porto all’aeroporto, e fatti alcuni acquisti, salpiamo intorno alle 15,00 verso Hydra che è a sole 35 miglia di distanza. Il mare è leggermente mosso il vento poco e in parte contrario mi costringe all’uso del motore e della randa e il trasferimento verso Hydra (31°21’44N 023°28’80E 1100nm fatte) diventa abbastanza palloso. Fortunatamente Licia è molto stanca e distesa sul divano sottovento riesce a farsi una bella dormita. Arriviamo verso le 22,00 e il porto è stracolmo di barche, ma senza perderci d’animo ci ancoriamo in seconda fila e con il gommone scendiamo a terra per una cena discreta a base di pesce, in uno dei tanti ristoranti sul porto.

Hydra è diventata una meta molto ricercata, la Capri del posto, con tante belle barche e belle case, il fronte mare è completamente lastricato in marmo bianco, indovinate da chi, dai veneziani naturalmente, e il paese in buona parte ha ancora un’atmosfera italiana, anche se la presenza greca si fa sentire, è tarda notte quando finalmente si va a dormire.

 

14 settembre

La mattina facciamo una passeggiata per le stradine del paese e poi, dopo un caffè frappè partiamo, intorno alle 13,00 con destinazione Poros. Ci fermiamo dopo l’isola Celevinia, ridossati dal vento, per un bagno ristoratore e mangiare un boccone. Proseguiamo per Poros, un’isola praticamente attaccata alla terraferma, con il paese che si allunga sul lato che guarda la terraferma, più protetto dal Meltemi.

Il porto è lungo e le occasioni di ormeggio molte, noi ci ormeggiamo sul pontile a nord del paese, il più distante possibile dalla strada, ma non riusciamo ad evitare la risacca dei tanti traghetti che uniscono l’isola alla terraferma.

Nel pomeriggio Licia va dal parrucchiere (che lusso!) e io sistemo un po’ di cose in barca. Sera al ristorante Sailing (si spende e si spande quando non sono solo eh) scelto con grande cura ma classico nel menù, insalata greca etc. etc.

 

15 settembre

Dopo una passeggiata di Licia alla ricerca di una cosa che non trova, partiamo per il rientro per Lavrio. Prima ci fermiamo in una baia deserta per fare un ultimo bagno di stagione (per Licia) e per un pranzo veloce. Arriviamo a Lavrio verso le 17,00 e ormeggiamo allo stesso molo di Navigare, da dove eravamo partiti, serata tranquilla, cena in barca e a letto presto.

 

16 settembre

La mattina accompagno Licia all’aeroporto di Atene, compro un hard disc per il mio pc, lascio al volo l’auto noleggiata e poi torno a bordo; nel giro di pochi minuti mollo gli ormeggi e mi dirigo verso Kea che raggiungo dopo aver scapolato l’isola di Makronsos con un bel vento al gran lasco, e attraversato il canale che divide le due isole, di bolina vento 16 nodi mare poco mosso. Kea è un’isola sicuramente che vale la pena visitare più approfonditamente, e Nikolau (37°39’89N 024°18’76E) è un posto piacevole e sicuro, anche con Meltemi forte, con i ristoranti lungo la banchina dal menù decisamente greco; ho mangiato un agnello ben fatto, la solita insalata greca per un prezzo onesto (20€) insieme a Claes, svedese, anche lui velista solitario, che ho conosciuto a Lavrio, e con il quale ho fatto amicizia.

Come sempre la mattina mi sveglio abbastanza presto, ma tiro tardi: faccio colazione, poi il rito del bagno, alla fine preparo la barca ed è così che riesco a far tardi! Lascio l’ormeggio dopo le 9, me la voglio prendere comoda, perché non mi va di bolinare duro, se, come previsto entra il SE. La traversata, una quarantina di miglia, è invece tranquilla, poco vento per la metà del viaggio con San Volvo in funzione, ed una bella brezza dopo, che di bolina larga mi fa correre sul filo dei 4 nodi.

Mi stendo a prendere il sole a baco, rileggendo “Come il Mare” e divertendomi a fare una foto in quella posa, da mandare a casa per far invidia alle signore...

Al porto di Ermupolis, Siros (37°25’95N 024°56’42E percorse 1200 nm) mi ormeggio in una marina finita ma non attiva, dove c’è tutto, ormeggi, pontili, luce ed acqua, ovvero le colonnine per.. ma non funziona niente, ma è gratis.... non ci si può certo lamentare. Questa proprio non la capisco, c’è un porto finito di tutto punto e nessuno che si prenda la briga di metterlo in funzione e riscuotere fior di quattrini.

Mi preparo per andare a letto e mi succede una cosa strana: lavandomi i denti sputo l’acqua con difficoltà, sarà stanchezza, penso io.

 


17 settembre

La mattina la prima cosa che faccio provo a ripetere l'operazione, con il risultato che l'acqua uscendo dalla bocca va a finire ovunque meno che nel lavandino, avverto uno strano disagio al volto e mi sembra di non controllare tutti i movimenti del mio viso. Guardandomi allo specchio, mi accorgo che la parte di sinistra si muoveva appena, e la bocca rimane leggermente piegata verso il basso.

Tanti pensieri sono passati in un istante nella mia mente..

“ecco, ci siamo, ora tocca a me ! ”

Ma che dici, non è possibile, controllati, torna razionale, mi dico ad alta voce!

Cerco allora di fare un'analisi oggettiva della cosa, potrebbe essere il cuore, ma mi sentivo bene in forma come non mai, e nessun dolore strano al braccio sinistro, non poteva essere un infarto; che sia un inizio di ictus? in effetti da alcuni giorni avevo un fastidioso mal di testa, ma non c'erano altri segni che confermassero questa ipotesi, allora ho pensato che forse poteva esserci un nesso con il problema che avevo all'orecchio sinistro tappato da giorni (magari mi sono detto) e questa strana situazione, certo, mi ripeto sempre ad alta voce, deve essere sicuramente così.

E’ stata la prima volta che ho desiderato non esser solo.

Recuperato il pieno controllo, preparo la barca, spostandola in un posto ancora più protetto e raddoppio alcuni ormeggi, tolgo il tendalino, poi chiudo tutto, incluso le saracinesche del motore, e alla fine prendo cose per le prime necessità per un eventuale pernottamento e me ne vado diritto all'ospedale.

Devo dire di aver trovato medici gentili e disponibili ad ascoltarmi, nonostante la barriera della lingua.

Mi hanno fatto tutti i controlli, gli esame del sangue, ECG, etc. e per farla breve mi è stata diagnosticata una paresi facciale sinistra dovuta a cause esterne (forse un virus). Mi hanno anche stappato l'orecchio, ma non hanno ritenuto quella la causa scatenante, ma almeno hanno risolto quel fastidioso problema.

Sono tornato alla barca molto più tranquillo e ottimista, oltre che con medicine per più di 100 euro. Mi trasferisco al porto principale, dove c’è più risacca causata dai traghetti e dal Meltemi che soffia deciso, ma c’è acqua e luce, e non devo prendere il taxi per andare in paese, e in qualche misura sono tranquillizzato dalla presenza di tante altre barche vicino ad Adventure.

 

18 settembre

Mi sveglio con l’ansia di vedere se c’è un miglioramento nella mia bocca, ma l’acqua continua ad uscire a.. sorpresa... ‘azz..

Torno all’ospedale per un controllo, ed anche le ultime analisi confermano il mio perfetto stato di forma, il medico mi dice che posso partire quando voglio ma di stare attento a non prendere freddo. Cerrrrto dico io, ci puoi giurare!

Il vento è ormai decisamente Meltemi ed in porto c’è molta risacca. Preparo la barca in modo quasi pignolesco, per una navigazione dura, decido anche di togliere il genoa e issare il fiocco 2 per venti forti. A dirlo sembra facile, ma da soli e con  vento, vi assicuro che non è cosa semplice, pare che le vele abbiano una loro anima svolazzando sempre anche quando non vorresti

Il porto è pieno e io sono l’unico a fare i preparativi per uscire, comincio a farmi la solita serie di domande, ma forse non dovrei partire, forse dovrei aspettare un giorno... magari facciamo così: ora esco, se poi fuori è troppo brutto vorrà dire che rientro.

Finalmente fuori, il tempo delle domande è finito, adesso il mare vuole solo risposte! Sono seguito da vicino da un Ketch olandese, meno male, vuol dire che non sono poi così fuori di testa come qualcuno sostiene.

Il vento è bello teso, intorno ai 22 nodi, un Meltemi terso che alza il mare che spumeggiando crea una tavolozza di colori sui toni del blu elettrico.

Ho due mani alla randa e il fiocco, la barca è bilanciata e l’andatura di bolina larga riesce ad imprimere allo scafo una bella spinta nella direzione giusta. Ma devo timonare io per evitare di inchiodarmi sull’onda, perché il timone automatico non è in grado di manovrare in anticipo sull’onda, e poi naturalmente giù secchiate d’acqua!

Gli olandesi per quasi un’ora tentano di restare sulla mia poppa, ma scadono al vento in modo deciso, fino a quando li vedo dirigere decisamente a sud/sud est per un lasco sicuramente più produttivo in direzione di Paros. Resto sullo stesso bordo per tutto il viaggio che in poco più di tre ore mi porta all’ingresso del porto di Mikonos.

Accendo il motore e gli allarmi cominciano a suonare, porca miseria dico io, si è bruciata un’altra girante. Controllo l’uscita dell’acqua, che sembra essere a posto. Spengo il motore e mi gratto la zucca.

Nel frattempo comincio la preparazione della barca per l’ormeggio, apro il vano motore per un controllo visivo, ma sembra tutto ok, al terzo tentativo il motore parte senza fischi, strano, non me lo aveva mai fatto.

Sono finalmente a Mikonos, il nuovo porto (37°28’N  025°19’E, 1200 miglia fatte) dopo anni di incuria finalmente lo stanno completando, ed è un vero caos, draga, rimorchiatori, caterpillar e il Meltemi che soffia di brutto intraversando le barche, insomma un vero casino. L’ormeggio non è stato facile, ripetuto due volte, ma alla fine pianto un’ancora a 50 metri di distanza che tiene una meraviglia.

Volevo proprio rivedere Mikonos perché la prima volta fu un’inaspettata sorpresa. Il paese è quanto di più egeo mente possa disegnare (con un’unica eccezione: Santorini), con le strade bianche le case bianche e le finestre colorate di celeste, e anche i negozi vendono abbigliamento di colore bianco! Di notte il paese si colora di luci e di una umanità così varia ed eterogenea da soddisfare qualsiasi voglia, anche la più trasgressiva. Quanto ci divertimmo con Licia, sei anni fa, a fare i vestiti addosso a tutti quelli che passavano davanti al nostro tavolino del bar. Ma era una calda serata di agosto.

E' settembre inoltrato, il Meltemi soffia forte e fa freddo. Le strade sono piene d’italiani scesi da due enormi navi della Costa Crociere ma non contribuiscono a  migliorare l’atmosfera. Pochi i bar che servono all’aperto, ed i pochi clienti ai tavoli sono tutti intirizziti. Mi fermo comunque in un bar deciso fino in fondo a fare quello che volevo, ma bevo il peggior Nescaffè frappè mai bevuto... è proprio vero piove sul bagnato, non si dovrebbe tornare dove si hanno bei ricordi, si rischia solo di rovinarli.

Un aneddoto: i croceristi scendevano da barche che facevano la spola dalla nave al porto e viceversa, proprio davanti a me. Dato che volevo andare in paese (4 Km), mi sono intrufolato tra di loro ed ho viaggiato gratis a spese della Costa. Al  ritorno per prendere l’autobus c’era il controllo della sicurezza, tutti ben abbigliati da sceriffi, e collegati tra loro via walkie-talkie. Me la vedo brutta, mi dico, mi toccherà prendere un Taxi. Ecco allora il colpo di genio, vado sparato verso un addetto della sicurezza e con grande tranquillità gli domando in italiano: è questo l’autobus per la Romantica? (una delle due navi) no mi dice lui, e mi accompagna all’altro autobus, lo ringrazio e torno a gratis!!

Cerco di dormire, ma gli strattoni causati dal vento sono violenti e il rumore delle cime che si tendono si amplificano sottocoperta fino ad essere insopportabili. Mi addormento ma dopo due ore riesco solo a restare in un dormiveglia catalettico, ho un pensiero continuo che si rinnova ad ogni ululare del vento, domani cosa fo, forse è meglio non uscire, forse sono troppo incosciente, forse dovrei restare un giorno di più, questo è il dilemma, restare in questo marasma in attesa che passi, o affrontare le oltre 50 miglia che mi separano da Aghios Kirikos, Ikaria (37°36’71”N  026°18’09”E), affrontando il Meltemi in faccia?

 

19 settembre

Alle 5 mi alzo, decisamente “cotto” e con lentezza faccio colazione, il vento sembra attenuato, la mattina è spesso così, sempre con lentezza preparo la barca per la navigazione, tutto al suo posto, niente deve essere libero di volare via, ne fuori ne dentro la barca e tutto quello che posso far sparire lo infilo in un gavone. Aggiungo una cima di ritenuta al gommone, disteso sulla prua, perché ieri più volte ho visto che le onde tendevano a farlo alzare dalla coperta. Ormai è deciso si parte, qui e un’ci sto!

Disormeggio senza difficoltà, fortunatamente l’ancora non si è incagliata in uno dei tanti lavori in corso, esco dal porto e comincio la risalita verso nord. Il Meltemi mi arriva sparato di prua e sono costretto a fare i bordi con randa e motore. Dopo due ore percorro le circa 2 miglia (che sono diventate oltre 4) che mi permettono di scapolare l’isola e mettermi in rotta per Est con finalmente il vento quasi al traverso, via il motore e su il fiocco. Si comincia a macinare miglia sul filo dei 6/7 nodi, le onde sono toste ma non insostenibili per il pilota automatico. Sono talmente stanco che resto sottocoperta disteso sul divano sottovento e mi riposo, salgo ogni mezzora per controllare che tutto sia a posto e non ci siano altre imbarcazioni in rotta di collisione, ma il mare è assolutamente deserto, sono solo io e la mia Adventure.

Ad un certo punto, nonostante il continuo sballottamento (il vento forza 5 intorno ai 20 nodi, il mare forza 4/5 onde di 2-2,5 metri) mi addormento. Mi ero sempre domandato come facessero i veri velisti a dormire dentro un casino così totale, ora lo so (nessuna proprietà transitiva please..).

Mi sveglio e mi rendo conto che la barca ogni 3, 4 minuti sbatte pesantemente sull’onda, forse è arrivato il momento di andare al timone. Sono passate due ore e abbiamo macinato quasi la metà della strada che ci separa dalla copertura dell’isola di Ikaria. Esco con cerata, pantaloni e cintura di sicurezza allacciata, e mi prendo la prima secchiata di acqua addosso, la prima di una lunga serie. Il vento è forza 6 tendente al 7 il mare 5 tendente al 6. E’ uno spettacolo affascinante, ho ancora la possibilità di prendere la telecamera e fare qualche ripresa, forse riuscirò a rendere l’idea della bellezza e della forza di queste immagini che in questo momento solo io sto godendo.

Ormai il vento è oltre i 25 nodi e le raffiche arrivano a 30, il mare sempre più increspato comincia a creare micro cavalloni che incontrando la fiancata della barca si innalzano verticalmente e vengono spazzati via dal vento investendo qualsiasi cosa si trovi davanti, me incluso naturalmente.

Come sempre la barca è all’altezza della situazione, ma il timoniere? Sono sei anni che non navigo in solitario in modo impegnativo e le sicurezze di un tempo si sono un po’ appannate, e poi c’è sempre il solito pensiero che rode chi va per mare, non tanto la paura di quello che stai affrontando, ma il timore di quello che potresti dover affrontare e di non sapere se sarai in grado di farcela da solo, sia fisicamente che mentalmente.

Si va, si va alla grande, comincio a riprendere confidenza e non so quante volte ringrazio la decisione di aver sostituito il genoa con il fiocco 2 (solo 19mq), non sarei stato in grado di affrontare questo mare e questo vento con una vela rollata. La randa naturalmente è terzarolata al massimo.

Comincio a trovare un’armonia con il susseguirsi delle onde, a “vedere” la logica dietro questo mare confuso dove le onde si accavallano e incontrandosi formano picchi verticali. Riesco ad evitare quasi tutti i treni di onde “passandoci in mezzo”, si orza quando un frangente si avvicina si poggia quando la schiuma ti raggiunge, intuito, prontezza di azione, un po’ di fortuna e la barca passa indenne, e la coperta comincia ad asciugarsi... fino alla classica merdaccia che ti arriva quasi da dietro a mezza barca ed allora è nuovamente un bagno, il pozzetto viene inondato e le scarpe mi si riempiono di acqua, accidenti, dovevo mettere gli stivali!

Il sale si asciuga velocemente sul vetro degli strumenti creando uno strato bianco che impedisce la loro lettura, è un continuo strusciarli nel vano tentativo di tenerli puliti, per non parlare degli occhiali... una lotta senza speranza di vittoria.

Arrivo al ridosso di Ikaria, era l’ora penso io, il mare comincia a spianarsi il vento si attenua, finalmente perché ho fame. So che in mare vanno colte tutte le occasioni, mangio tutto quello che posso nel più breve tempo possibile, bevo, e già che ci sono assolvo alle più elementari necessità corporali. Il vento cala, fino al punto di accendere il motore, che ripete la farsa di ieri, suonano tutti gli allarmi obbligandomi a spengerlo e ripetere l’operazione per un paio di volte fino a quando tutto torna nella norma. Telefono anche a Licia per rassicurarla sulla navigazione proprio quando il vento comincia a tornare, (ho la sensazione di aver già vissuto questa storia).

Il vento mi investe con forza, avevo sperato in un navigazione tranquilla per fare le ultime 12 miglia, ma non avevo tenuto in debita considerazione il problema legato al vento di ricaduta dalle alte montagne di Ikaria.

E’ un fenomeno noto, descritto anche nei portolani della Grecia, (vento Catabatico nel Mediterraneo e Williwaw in Sud America) la differenza termica tra il mare e la cima della montagna oltre che il vento forte, creano una depressione sul lato sottovento della montagna stessa, e il vento viene a sua volta risucchiato da questa depressione aumentando di forza via via che scende sul fianco della montagna stessa e arriva al mare precipitando dall’alto con una forza molto superiore a quella del lato sopravvento.  Il mare fortunatamente non è un problema, un forza 3/4 ma il vento comincia a spingersi spesso oltre i 30 nodi, un forza 7 costante. Ho la scotta della randa sempre in mano che lasco ad ogni sferzata di vento e di acqua, che purtroppo riesce ad entrare ovunque, anche dentro la cerata ben chiusa.

La barca è ben sbandata 35/45°, ma continua imperterrita ad avanzare con un angolo  di 60° al vento, ma l’effetto combinato del vento e delle onde fa si che sembri di viaggiare veramente controvento.

Mi avvicino sempre più alla costa, devo raggiungere il porto che ormai dista poche miglia, ma il vento comincia a picchiare duro, 35, 38, 40 nodi, sono costretto a ridurre il fiocco lasciandone si e no 5 metri quadri, un fazzoletto.

Avrei preferito di gran lunga ammainare la randa e dare tutto fiocco, avrei potuto bolinare meglio, ma non riesco ad avere una riduzione del vento sufficientemente lunga che mi permetta di farlo. A volte devo far sbattere la randa per evitare di finire in straorzata, l’acqua è ormai fissa oltre la falchetta e inonda tutto il ponte laterale.

Il rumore diventa assordante, non più un fischio del vento ma un vero e proprio ululato continuo, tutte le cime sbattono in modo violento e la randa vibra, tra garroccio e garroccio,  sbattendo sull’albero con un rumore che ricorda più una mitragliatrice che una vela. Ormai non faccio più caso all’acqua che mi arriva addosso, non guardo più gli strumenti, ormai illeggibili, sono completamente concentrato sul colore del mare che cambiando mi indica l’arrivo della raffica e la sua forza, (che ormai ha raggiunto forza 8).

Nel bel mezzo di tutto questo intravedo arrivare dalla costa una strana nube bianca, il mare quasi sparisce dietro di lei, sembra una nube di nebbia, per una frazione di secondo mi interrogo quando improvvisamente mi torna alla memoria l’esplosione di vento che avevo incontrato assieme a Licia nel primo viaggio in Grecia nel 2002 ad Anafi quando vedemmo andare l’anemometro a fondo-scala!

Chi l’ha incontrata una volta non la dimentica più.

La riconosco, è lei, la “bomba” di vento, pulisco al volo gli strumenti siamo a 38 nodi velocità 7,5 nodi inclinazione ben oltre i 45° direzione apparente del vento 50°. So che ho pochi istanti per reagire, mollo la scotta del fiocco, poggio di 90° lasco tutta la randa e cerco di mettere la poppa al vento. In pochi secondi la nube mi raggiunge ed è un’esplosione di vento, acqua emulsionata all’aria che ti avvolge completamente, la visibilità cala e la sensazione che si ha è come se prima il vento non ci fosse stato per niente, ed ora fosse arrivato tutto assieme. Non è una vera e propria tromba marina, ma credo che sia la cosa che gli assomiglia di più senza la stessa forza distruttrice, per fortuna! Dura poco, lo so, pochi minuti ma sembrano lunghi un’eternità, siamo a forza 9 probabilmente 10, vento sicuramente ben oltre i 50 nodi, ma chi ha il tempo di controllare. Mi concentro sulla randa, e sul vento che tengo poco meno che a fil di poppa, la barca accelera, la prua spinta dalla forza del vento affonda immergendosi fin quasi a coprire l’ancora riposta sul musone, guardo l’albero e mi domando, ha 23 anni, le sarti pure, le ho fatte controllare e tutto era ok, ma, reggeranno? (Al mio arrivo in porto faccio una foto allo strumento della velocità, la massima raggiunta: 8,35 nodi, di poppa e solo con mezza randa....).

Finalmente passa, il vento cala e torna ai suoi assai più gestibili 35 nodi, recupero il fiocco, lo cazzo ben bene, abbiamo perso quasi un miglio all'acqua e al vento, adesso si dovrà bolinare più stretti. Ma cazzo se ti cazzo, ora glielo faccio vedere io con chi ha a che fare sto Meltemi del cazzo! Metto la prua nuovamente “controvento” e punto diretto verso il porto che ormai si comincia a distinguere chiaramente.

Raffica dopo raffica, in attenuazione, finalmente arrivo al porto, sono fuori dalla diga, non posso entrare se prima non preparo la barca per l’ormeggio. Un po’ ridossato dal porto il vento cala a 25 nodi, che buffo, mi sembrano pure pochi!

Accendo il motore e lo stomaco mi si stringe, tutti gli allarmi suonano come pazzi. So di cosa si tratta, ma non so se e quando smetteranno di suonare, e che vuoi fare, rischiare e andare avanti? spengo il motore.

Mi spingo sotto costa e tolgo la randa al volo saltando come un canguro, poi riaccendo il motore, suona, spengo.

Impiego quasi 45 minuti prima per finire la preparazione e poter entrare in porto, è un continuo correre tre poppa e prua, posso fare una cosa alla volta, un parabordo alla volta, ad esempio, e poi subito devo riportare la prua al vento, far prendere vento al fiocco (che nel frattempo avevo riaperto) e riportare la barca sottocosta.

Comincio a immaginare una soluzione alla “garibaldina”, bolina stretta cazzato a ferro a rasentare il molo, buttarmi dentro al porto e giù ancora ‘ndo coio coio.

Ma lo sapevo (:-|) il motore non mi poteva tradire, e all’ennesimo tentativo si accende e zitto zitto mi porta dentro.

Gli addetti della Capitaneria che erano sul molo, e che probabilmente dovevano aver immaginato che qualcosa non andava bene, mi permettono di ormeggiare di lato, all’inglese, evitandomi di fare un’altra manovra critica, con vento a 25 nodi al traverso in un posto così ristretto. Lo avrei potuto fare, mi ero preparato per quello, ma perché strafare? Ne avevo già avute tante di “soddisfazioni” oggi.

Dopo avermi aiutato ad ormeggiare mi salutano caldamente e mi dicono che senza urgenza, quando voglio, anche domani, posso passare da loro a lasciare i documenti; ma che carini penso io, ma poi mi domando se questa loro disponibilità in qualche modo fosse legata allo scampato rischio di dover venire fuori a prendermi con il mezzo di soccorso (un grosso gommone) che secondo me avrebbe messo più a rischio loro che me.

Dopo dieci ore finalmente mi posso riposare, mangio qualcosa mi distendo e mi addormento di botto, sentendomi un lontanissimo “parente” di Soldini.

Riflessioni:

La prima,  Adventure ha dimostrato ancora una volta di essere una barca eccezionale, nel dubbio, basta lasciar fare a lei, perché l’anello debole è sempre chi sta al timone.

La seconda, questa è l’ultima volta che telefono per dire che va tutto bene prima di essere ormeggiato in porto. (Era successo la stessa cosa nel 2002 arrivando in Grecia da Malta con un arrivo altrettanto elettrizzante).

La terza, quando navighi in solitario non ci sono “second chanches”, tutto deve essere pronto, mai lasciare a dopo quello che puoi fare prima, potresti non avere più il tempo di farlo, e in fine non dare mai per scontato che tutto funzioni. Quello che credo sia successo al motore sia stata la centrifugazione dell’olio causata dalla prolungata inclinazione, poi risoltasi quando il motore è tornato quasi verticale in prossimità del porto.

Ed in ultimo, come spesso succede (vedi il tonno perso con Alvaro sempre nel 2002) quando vuoi essere troppo protagonista finisce sempre male. Non so cosa abbia fatto, ma la ripresa che credevo di aver fatto è venuta solo parzialmente. Probabilmente devo aver pigiato più volte il bottone di accensione/spegnimento senza essermene reso conto, anche perché guardare lo schermo della telecamera mentre timoni è umanamente impossibile.

 

20 settembre

Oggi sono molto stanco, la notte è stata molto movimentata, con vento forte a raffiche che facevano intraversare tutte le barche, escluso Adventure perché ormeggiata

all’inglese; ad un certo punto ho aiuto una barca in difficoltà, passandogli una cima dalla mia poppa alla loro prua, che ha sì risolto una situazione per loro critica, ma ha aumentato i rumori dentro la mia cabina, rendendo il sonno ancora più difficile.

Le previsioni danno pioggia e temporali, poi la Capitaneria mi informa che è previsto un vento a forza 8-9, e la partenza è sconsigliata, decido di restare, tanto non mi rincorre nessuno. Durante la mattina passano molte persone dal piccolo molo e tutti mi salutano, nei paesi piccoli le persone sono molto più cordiali, poi una coppia che per molti anni ha vissuto in Belgio si ferma a parlare con me, rispolverando il mio francese maccheronico, scopro che hanno seguito tutte le fasi finali del mio arrivo con molto interesse; mi confermano anche che a poche miglia c’è il posto più ventoso di tutta l’isola (me ne ero già accorto, grazie!).

Fortunatamente ho una buona connessione internet che posso usare a gratis anche restando in barca, così passo la maggior parte del giorno al computer, mail a cui rispondere e un po’ di lavoro, tanto fuori piove alla grande. Arriva in porto una strana imbarcazione a motore, lunga poco meno di 18 metri, che riesce ad ormeggiarsi in testa al molo; è una vecchia barca della seconda guerra mondiale, molto stretta, tutta in acciaio,con una scafo molto profondo, che è stata trasformata da uno svedese che se ne va a giro da solo per sei mesi l’anno e con cui, guarda caso, faccio subito amicizia. La tuga non è molto alta, e a prua dove c’era una torretta mitragliatrice adesso ci sono due poltrone in vimini a formare un salottino esterno. Lui è un tipo molto socievole e parlando di meteo lo aiuto a scaricare il programma Ugrib e installarlo sul suo portatile, oltre che ad insegnargli ad usarlo. La cosa più incredibile che mi ha raccontato è che va a fare gasolio in Tunisia perché costa pochissimo e visto la grande quantità che porta nei serbatoi gli conviene alla grande.

 

 

21 settembre

Il vento è calato la giornata molto grigia, pioviscola, ma che strana coincidenza, il tempo è cambiato dall’estate all’autunno con un puntualità disarmante. Decido di partire, e finalmente la mia rotta va verso sud, così se dovesse arrivare un’altra sventolata me la prenderei di poppa; invece no, il vento è leggero si va a vela e motore, arrivo davanti a Patmos, sono tentato di fermarmi, il posto mi era piaciuto tantissimo, ma non voglio sciupare un’altro bel ricordo, e poi voglio guadagnare un po’ di miglia verso sud. Alla fine decido di proseguire fino a Porto Lakki, a Leros (37°07’73N 026°51’10E distante 40nm), la più italiana delle isole del Dodecaneso, dove sembra di essere tornati all’era del ventennio, con tantissime case fatte in quello stile, ricorda un pò Tirrenia, altra perla del fascismo.

La Marina di porto Lakki è piena, ma una seconda è in costruzione proprio davanti, trovo un buon posto ormeggiato di poppa, con luce ed acqua, finalmente posso fare un po’ di rifornimenti e anche il bucato. Appena metto la passerella una gatta (la rossa) in modo poco pudico per un primo incontro, sale a bordo fa il suo giro di ispezione e finisce per venire a strusciarsi alle mie gambe... ma cosa farò io alle femmine per attirarle così?

Questa nuova marina quando sarà finita sarà molto bella, protetta da un collina che stanno in parte scavando per usare il materiale per la costruzione della diga foranea, all’interno di un golfo verde e profondo. Hanno tariffe molto economiche, per il periodo dei lavori, e molte le barche con persone che vivono a bordo, naturalmente faccio amicizia, e in tanti mi danno i loro biglietti da visita, tutti rigorosamente barcaioli, sento proprio la mancanza di uno, e decido che appena possibile me li devo far stampare anche io.

Resto due giorni, e raccolgo molte informazioni sul posto, considero anche la possibilità di lasciarci la barca, hanno ottime tariffe, e ci sono diverse barche italiane a terra nel piazzale, (lerosmarina.gr), ma voglio sostituire il vecchio ponte in Teak e tutti mi consigliano di farlo in Turchia, alla fine decido di partire.

 

24 settembre

Anche oggi c’è poco vento, che lo abbia consumato tutto io ad Ikaria? di certo il tempo è cambiato, spesso nuvoloso, e anche la temperatura dell’acqua comincia a scendere sotto i 24 gradi, l’estate è finita davvero. Passo davanti a Kalimnos, Vathi mi attira dentro, è un fiordo naturale stretto tra due pareti di roccia altissime, dove alla fine c’è un molo ed una “piscina naturale” formata dalle pareti di roccia da una parte e il molo e il mare aperto dall’altra, un vero sballo; mi ormeggio al posto dell’ultimo barcone porta-turisti che sta uscendo, con poppa rivolta verso il fiordo, da dove arriva il vento che come sempre  di sera rinforza prima di calare dopo il tramonto.

Una scelta dettata dall’esperienza della volta precedente, e che viene copiata da un paio di barche che avevano problemi di ancora. Erika, una gran bella barca di 50 piedi, è piena di simpatici tedeschi con cui, senza volere, faccio amicizia. Mi invitano anche a bere, loro birra, io vino, e finiamo per cantare canzonacce da birreria tedesca (scherzo). Faccio anche un bel bagno, dicendomi che probabilmente sarà l’ultimo della stagione.

 

25 settembre

Faccio una lunga passeggiata intorno al fiordo, risalendo lo sperone opposto al per scattare alcune fotografie e una ripresa video. Il mare si addentra tra le pareti rocciose del fiordo quasi come una lama, tutto attorno colline rocciose brulle di un colore grigiastro ed al centro questa valle lunga 4/5 km, larga all’inizio poche centinaia di metri e alla fine forse un chilometro, molto rigogliosa, con molti alberi da frutto, ed in lontananza una coltivazione di arance e altri agrumi. Mi ricorda una di quelle oasi che spuntano dal niente nel deserto del Sahara: Ouarzazate in Marcocco, visitata tanti tanti anni fa.

 

Saluto i miei nuovi amici e con una discreta brezza, 18 nodi, con tutta randa e fiocco mi trasferisco alla Marina di Kos (36°53’70N 027°18’02E), una grande isola con un bel porto al centro della città e una comoda marina moderna ed efficiente, per niente cara, (23€ al dì) con tutti i servizi funzionanti. Posso finalmente dedicarmi alla pulizia di Adventure che da molti giorni trascuro, l’acqua non manca ne il sapone, forse manca l’olio di gomito, ma un piccolo sforzo lo si deve pur fare.

Kos è un luogo pieno di reperti storici, rovine ed anfiteatri molto belli tra cui  L’Odeum romano, che risale al I o II secolo d.C. che veniva utilizzato per le competizioni musicali o per le sedute del Senato e che vale la pena visitare.

Vado in città a piedi, ho bisogno di camminare, le gambe in barca si muovono poco e si tende a perdere tonicità velocemente. La città ha delle belle mura ed un forte ancora ben conservato, il porto è stato recentemente ristrutturato ed offre ora (entrando a sinistra) una serie di banchine dedicate al diporto con acqua e luce (se lo avessi saputo prima mi sarei ormeggiato qua), mentre da evitare tutto il resto del porto dove i caicchi fanno da padroni. Ci sono molte moschee e minareti e l’influenza turca è evidente ovunque, comincio a sentire l’attrazione dell’oriente e sento crescere in me il desiderio di ripartire.

Vado a fare un controllo all’ospedale, come mi aveva consigliato il medico di Siros, la paresi è migliorata ma ancora non ho il controllo completo dei movimenti delle labbra. Trovo un medico molto scortese che quasi si stupisce della mie affermazioni quando gli dico che è stato un suo collega a suggerirmi questo controllo, e mi liquida in modo brusco e frettoloso. Peccato, avevo un ricordo così positivo dell’assistenza medica in Grecia, sciupato da un cafone.

 

26 settembre

E’ una giornata molto grigia, il vento soffia tra le sartie delle barche creando quel suono tanto amato dai velisti, come lo sbattere ed il tintinnare delle drizze, il meteo non è dei migliori, deve passare una perturbazione che ha però il vantaggio di portare con se venti dai quadranti sud. Esco dal porto e ben protetto dal molo tiro su la randa con una mano di terzaroli metto tutto in chiaro e apro il fiocco, la barca accelera non appena mi metto in rotta con le vele a segno e con grande disinvoltura, con autopilota, mantiene velocità tra i 7 e gli 8 nodi. Finalmente una giornata di vela riposante oltre che gratificante, attraverso lo stretto che divide Kos dalla Turchia, sono appena partito e sono già arrivato, cala la bandiera di cortesia greca e sale quella turca. Sono a Turgutreis, una nuova marina (37°00’07N  027°15’36E e 1300 miglia fatte) ben identificabile dal nome scritto in grande sul lato della collina dietro al porto. Il mio portolano vecchio di 6 anni non ne faceva menzione, ma grazie alle indicazioni avute a Leros, e alle immagini di Google Earth mi ero fatto una chiara idea di dove e come fosse disposto il suo ingresso. Chiedo un posto via VHF e subito un gommone mi accoglie all’ingresso e mi aiuta ad ormeggiare in un bel pontile dotato di fingers. Dopo aver sistemato gli ormeggi mi dirigo in capitaneria per chiedere informazioni per l’entrata di Adventure in Turchia, e qua si impone una riflessione.

Come sono strane le cose legate alla burocrazia, un’ esempio a caso: le dogane.

Nei paesi con tradizioni totalitarie gli aspetti formali hanno una grande importanza,

in Croazia ad esempio i doganieri austeri e seri ci controllano tutti i documenti, i timbri ci devono essere tutti e nell’ordine giusto, si deve fare prima dogana in un posto e poi recarsi in Capitaneria per il permesso di navigazione in un’altro.

In Montenegro idem, ma con il sorriso sulla bocca, e nonostante l’evidente ristrettezza dei mezzi, il tutto viene fatto con maggior rapidità ed efficienza.

In Grecia, barando un po’ e dichiarando che siamo in arrivo dall’Italia, non facciamo dogana ma solo la registrazione in Capitaneria, una ragazza carina e cortese, un timbro e via.

Ed ora la Turchia: la dogana chiude per pranzo, e quando mi presento mi suggeriscono di tornare dopo le tre. Ci ritorno, ma a quanto pare troppo tardi perché il medico non c’è e non posso fare il controllo medico (che consiste in un timbro). Comincio a preoccuparmi immaginando chissà quali complicazioni, quando, parlando con il doganiere gli dico che sono di Firenze e la prima cosa che mi dice: Fiorentina?! Fatih Terim! (allenatore turco che ha allenato la squadra per circa un’anno) e poi mi chiede quale sia l’altro nome della squadra, mi vedo già in galera per non avere la risposta alla sua domanda, quando di colpo mi ricordo che la Fiorentina si chiama anche Viola! Allora si che sorride!! Insomma finisce a taralluci e vino, e mi dice che per la dogana posso passare domani, quando voglio che tanto va bene uguale!!!

Ero quasi tentato di non farla e buona notte!

 

27 settembre

La mattina faccio dogana e poi incontro Citak, un contractor turco che ha fatto il ponte in Teak alla barca di Claude, un francese conosciuto a porto Lakki. Parla poche parole di inglese e ne capisce ancora meno, e i nostri dialoghi sono un vero spasso, il più delle volte gli parlo in fiorentino, tanto non si accorge della differenza! Mi accompagna nella zona dei cantieri dove farà il lavoro, a nord est di Bodrum; il cantiere ha in costruzione un grande caicco e all’aperto, in uno spiazzo sterrato, ci sono molte barche in rimessaggio. Non sono del tutto convinto del posto, quando sento parlare italiano e faccio conoscenza di due ragazzi, Alessandro, e Fausto che lavora quale Project manager per la costruzione di un grande caicco per un cliente italiano, dopo un po’ ci scambiamo i rispettivi numeri di cellulare.

Resto a Turgutreis per altri due giorni, ho qualche lavoretto da fare, in barca non si sta mai con le mani in mano, conosco il mio vicino di barca, un tedesco che parla italiano abbastanza bene perché per alcuni anni ha tenuto la sua barca a Castiglion della Pescaia proprio dove per quasi dieci anni sono stato anch’io con le mie precedenti imbarcazioni. Finisce che facciamo amicizia e lo invito una sera a cena dove con ottima bottarga e ottimo olio extravergine (produzione propria) gli spaghetti che servo mi fanno fare un gran figurone.

Contatto anche i miei nuovi amici italiani e fisso con loro un appuntamento per il giorno dopo a Bodrum.

 

 

29 settembre

Lascio il porto intorno alle 10 e con un filo di vento mi ingaggio con altre barche tutte di charteristi, tra i 40 e i 45 piedi e subito mi sento in regata, ma il fiocco non tira e le loro poppe si allontanano. Aspetto di scapolare la punta del promontorio che dà accesso al golfo di Bodrum, e grazie al cambiamento di rotta e all’aumento del vento, posso mettere il  gennaker.

In men che non si dica raggiungo e passo tutte le barche, molto vicino e sottovento, lasciandoli di stucco quando si rendono conto della dimensione della barca e che a bordo sono solo (si è vero, l’ho fatto apposta). Dentro al golfo il vento rinforza, supera i 12 nodi (vento apparente) al lasco e la velocità si stabilizza intorno ai 7,5 8 nodi, dietro Adventure la scia crea delle onde quasi da motoscafo; il vento rinforza e decido di togliere la randa, visto che mancano poche miglia all’arrivo. So che avrei dovuto fare l’incontrario, ma il godere è tanto, e me lo voglio gustare fino in fondo. Il vento sale 14, 16, 18, 20 nodi. Il mare è piatto Adventure dolcemente inclinata di 18° la vela che sfiora l’acqua, il vento che si scarica dalla sua base increspa l’acqua e provoca quella deliziosa musica che tanto assomiglia ad uno leggero scoppiettio della brace di un camino quando ci soffi sopra, la velocità è spesso oltre gli 8 nodi, dietro un’onda che cresce al mio passaggio. In qualche modo riesco a fare finalmente una bella ripresa video che potrò orgogliosamente mostrare ai terragnoli al mio ritorno.

Il bello però ha da venire, e per togliere il gennaker faccio non pochi numeri, inclusa una bella straorzata, quando costretto a lasciare la barra al pilota automatico, non riesco a sparare la scotta perché non raggiungo la cimetta dello sblocco, nonostante avessi avvicinato la bugna cazzando quanto più possibile la scotta. Tutto bene quello che finisce bene e al secondo tentativo porto tutto a bordo senza mandare niente in acqua; entro in porto a Bodrum (37°01’80N 027°25’44E) con quella gioia dentro che solo chi va in barca può apprezzare.

Nel pomeriggio incontro i miei nuovi amici italiani, e finisce che Alessandro, che voleva prendersi qualche giorno di ferie, si offre di accompagnarmi fino a Marmaris, e la sera stessa si trasferisce in barca. Sono abbastanza contento di questo fuoriprogramma, anche perché domani è previsto un bel Meltemi.

 

30 settembre

Ci svegliamo presto e facciamo tutte quelle cose che precedono la partenza, verifica dei livelli al motore, rabbocco eventuale, pieno acqua, controllo dell’attrezzatura etc. etc. e per finire la colazione e solo verso le 9 e mezzo lasciamo gli ormeggi. Il cielo è grigio e un vento fresco quasi frizzante ci saluta non appena usciamo dalla copertura della collina retrostante il porto, circa 15 nodi, lascio tutta randa e il fiocco, e con il Meltemi che ci arriva al gran lasco non si sente troppo lo squilibrio causato dalla contenuta dimensione della vela di prua. Rotta per 190° direzione la punta del promontorio della Datca a circa 20 miglia di distanza. L’andatura è gagliarda e il Meltemi in costante aumento. Sfiliamo lungo la costa della penisola con un vento oltre i 20 nodi quando metto la prima mano alla randa, con velocità costantemente oltre i 7 nodi. Giriamo intorno al promontorio e piano piano ci ritroviamo con il vento al traverso per rotta 083° con direzione la costa nord di Simi.

Alessandro è un buon compagno di viaggio, si rende utile quando richiesto, e sa stare in barca, ha anche un buon polso per il timone. Con il Meltemi ormai fisso sui 25 nodi Adventure esprime il meglio di se con questa andatura al traverso che ci fa surfare sulle creste di un mare forza 4, una gran bella prova, anche in considerazione del piccolo fiocco a prua. Ormai vicini a Simi ci prendiamo un paio di rafficone che ci fanno letteralmente volare e tocchiamo la velocità massima raggiunta in questa crociera  9,09 nodi !  ed io sono orgoglioso come un padre di un figlio.

Giriamo intorno all’isola di Nimos che lasciamo alla nostra dritta, non me la sento di fare l’attraversamento dello stretto passaggio tra le due isole, ed entriamo nel golfo che porta a Simi, un bel paese ci accoglie con le sue casette tutte quasi uguali come fossero state disegnate dalla mano di un bambino.

Stranamente il porto è pieno e non troviamo posto in banchina, è la prima volta che mi succede, deve essere una località molto gettonata. Ci ancoriamo alla ruota nella baia accanto davanti a un bel ristorantino e usiamo il gommone per andare a cena. I ristoratori sono molto carini e parlano un buon inglese, facilitandoci la vita e finalmente consumiamo un’ottima cena ad un prezzo onesto.


1 ottobre

La mattina vado prima a far dogana e poi in capitaneria per l’uscita dalla Grecia di Adventure, senza far menzione del mio ospite che non voleva rompersi l’anima di dover poi rientrare in Turchia il giorno dopo. Un clandestino a bordo!! Ormai posso considerarmi alla stregua dei contrabbandieri di uomini che con i loro gommoni attraversano il mediterraneo con il loro carico di clandestini, ma questa volta all’incontrario, porto un’ italiano in Turchia!

Lasciamo Simi, un’isola diversa dalle altre, ed il desiderio di tornare, magari la prossima estate, per esplorare i tanti approdi che sembra offrire questo bellissimo posto.

Il vento è leggero e procediamo lentamente, ma nessuno ci corre dietro, arriviamo a scapolare Capo Karaburun, un’altra penisola di questa frastagliatissima costa turca. Così ridossati il vento cala ancora e nonostante il ridotto piano velico superiamo con facilità alcune barche di charteristi di 42 o 44 piedi che pur con il genoa a riva non riescono a tenere la nostra velocità. Alessandro è ben impressionato dalle doti di Adventure, che a prima vista non fa intendere di essere uno scafo così performante in tutte le condizioni di vento e mare.

La costa turca è piena di insenature, golfi, anfratti, che segno sulla carta per poter visitare la prossima estate, alcune hanno anche possibilità di ormeggio offerto da ristoranti stagionali, un po’ come succede in Croazia.

Arriviamo all’ingresso del golfo di Marmaris (36°51’04N 028°16’63E) e il vento diventa contrario, così procediamo a motore, nel frattempo comincio a sistemare le cose per l’ormeggio, e lentamente arriviamo all’ingresso del porto, una bella marina Netsl Marina (www.netselmarina.com), che mi fa subito una buona impressione

Una volta ormeggiato sento la classica stretta al cuore quando mi rendo conto che sono arrivato:  ho avuto la fortuna di godere di questa passione e questo amore per il mare e per Adventure, con i suoi alti e bassi, ma che mi ha dato molto di più di quanto io stesso sperassi, sono stati due mesi in cui ho recuperato tutte le mie energie sia materiali che fisiche, ritrovando quell’equilibrio che era stato messo a dura prova dagli ultimi tre anni, tra i più duri della mia vita. Mi rendo anche conto che tra poco dovrò lasciare Adventure nelle mani di chi la violenterà, strappandole la pelle, il vecchio teak, ormai finito e donandole uno nuovo, ed io non sarò con lei ad accudirla e a consolarla. Speriamo bene.

 

Ottobre 2-10

Salutato Alessandro che torna a Bodrum, mi dedico completamente al progetto Teak, facendomi fare alcuni preventivi, ed alla fine opto per il piccolo cantiere che è all’interno del marina, che mi ha fatto un ottimo preventivo, oltre che una buona impressione.

Dedico anche molto tempo al progetto cappottina, cagnaro, oltre che bimini, tre cose che vorrei rinnovare o fare ex-novo, e che da un punto di vista costi sono sicuramente molto convenienti. Certo bisogna fare a fidarsi e sperare che vada tutto bene.

Marmaris è un posto turistico molto importante, nel golfo ci sono diverse marine e la recettività supera i 2000 posti barca, una buona cantieristica, e discreti collegamenti.

Settimanalmente attraccano al molo esterno enormi navi da crociera della Costa o MSC che sbarcano migliaia di croceristi, ma a me non danno noia, fanno folklore.

L’aeroporto di Dalaman dista solo un’ora di auto, e con collegamenti giornalieri su Istambul si va dove si vuole. C’è anche l’aeroporto di Bodrum, a due ore, che in estate offre collegamenti charter diretti su alcune città italiane. Un collegamento con un catamarano veloce in un’ora ti porta a Rodi, e da li un’altro aeroporto offre collegamenti a buon mercato con tutta Europa.

Marmaris è anche una grande città, quindi si trova tutto di tutto, e vastissima è la scelta di negozi di nautica, ricambi, e tutti i servizi necessari per la nautica da diporto. Purtroppo un terremoto negli anni cinquanta l’ha praticamente rasa al suolo, perdendo molto del suo fascino orientale, e la ricostruzione, tipica del periodo, non è tra le più belle, come una brutta periferia italiana.

C’è una bella passeggiata lungomare, tanti ristoranti, un gran bazar, e tanti giovani, come conseguenza ci sono anche molte discoteche, e la sera il rumore arriva fino alla marina, speriamo che d’estate non sia un problema, perché ora la sera l’aria è fresca e io tengo gli oblò tutti chiusi.

I giorni passano velocemente e la preparazione della barca, togliendo tutto facendolo sparire dentro i gavoni, oltre che le normali cose di fine stagione, mi impegnano al 100%, ma sono in forma e anche il problema della paresi facciale è completamente superato, finalmente!

Trovo anche un guardiano per Adventure, un ex militare che ha il compito di controllare un bel Gran Soleil 46, tutto rifatto a nuovo, di un italiano, che è ormeggiato quasi davanti a me, ed il prezzo è veramente onesto (500€/anno).

Mi sento più tranquillo, e il 10 ottobre, quando devo partire la mattina presto per prendere l’aereo, mi accompagna all’aeroporto.

 

In 58 giorni ho percorso 1400 miglia, 700 con Licia e amici e 700 da solo, così finisce anche questo lungo Diario di Bordo di Adventure, in attesa che un’altro anno arrivi e che altre avventure e nuovi orizzonti ci portino a solcare mari sconosciuti, visitare nuovi luoghi, conoscere nuove genti, fare nuove amicizie.

 

Buon Vento

 

Claudio